Smart working, luci e ombre su un modello organizzativo che impatta sul come, quando e dove svolgere la propria attività lavorativa da dipendenti e che in Italia sta crescendo, ma lentamente e non riesce a esprimersi in tutte le sue possibilità. È il cosiddetto “lavoro agile”, che permette più flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro, grazie a strumenti digitali che aiutano a lavorare in mobilità e a una legge del 2017 che lo regolamenta. Si lavora meglio, si risparmia tempo, si è più motivati e quindi più produttivi? In molti casi anche senza più la propria scrivania? Cosa comporta a livello culturale e organizzativo questo nuovo modello del lavoro? Alla luce dei dati appena pubblicati dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, abbiamo sentito il parere di alcuni esperti. Lo smart working è una pratica aziendale e sociale che impatta e rivoluziona più dimensioni del lavoro: la prestazione, la cultura organizzativa, lo spazio-ufficio. In particolare, la prestazione passa “tendenzialmente” dal concetto di mansione da svolgere in presenza, secondo determinate procedure, alla cultura dell’obiettivo da raggiungere con una maggiore autonomia spazio-temporale e una maggiore responsabilizzazione individuale. La dimensione dell’ufficio si dilata nel cosiddetto “digital workplace”, dentro e fuori l’azienda, e l’organizzazione cambia per comportamenti, relazioni, comunicazione.Negli ultimi anni, il lavoro agile ha preso piede anche in Italia soprattutto presso le grandi firme della consulenza, come Accenture e EY, nel banking e insurance, come Intesa Sanpaolo, Allianz a Citylife, Europe Assistance e Reale Mutua; delle Telco come Tim e Vodafone; dell’informatica come Sap, Oracle e Microsoft nella sua Microsoft House; dell’engineering come Maire Tecnimont a Porta Garibaldi e Bosch; nell’energia come Enel e nel food and beverage come Nestlé nel campus di Assago, Heineken e Coca Cola Hbc.